Questa intervista è dedicata a Donatella Mondani che da più di quarant’anni si occupa di effetti speciali nel make up — quello che in gergo viene chiamato trucco prostetico o protesi FX.
Tutto parte dal lifecasting cioè il calco dal vivo di una parte del corpo umano — una tecnica molto diffusa nel diciannovesimo secolo — considerata fondamentale nella formazione di uno scultore anche se all’epoca il calco diretto non poteva essere presentato come opera d'arte finita.
A questo proposito ricordiamo lo scandalo che suscitò L'età del bronzo di Rodin, esposta al Salon di Parigi del 1877, dove l’artista fu accusato di aver modellato la sua opera basandosi solo su un calco. Rodin ha sempre negato e cercò di provare il contrario facendo realmente il calco del modello che posò per lui. La nuova scultura venne inviata come prova alla giuria del Salon che però non aprì nemmeno la cassa.
L'interesse per il realismo e il casting dal vivo è riemerso in America negli anni '70 e '80 — Duane Hanson e John De Andrea sono tra i maggiori esponenti di questa corrente — anche se queste opere erano viste con un certo scetticismo dalla critica perché risultavano troppo facili e deboli come ricerca artistica. Solo in anni più recenti, artisti come Don Brown, Marc Quinn e Gavin Turk hanno esplorato attraverso il casting una riflessione più profonda, basata sui concetti del mito dell'artista e della paternità dell'opera d'arte.
Escludendo il mondo dell’arte contemporanea, questa tecnica è stata adottata brillantemente dal teatro, dal cinema, dalla televisione e Donatella Mondani — la prima donna in Italia a lavorare in questo settore del trucco prostetico — ci racconta le sue applicazioni più interessanti realizzate nel campo dell’intrattenimento e della comunicazione.
Non so voi, ma dopo questa intervista mi è venuta voglia di fare un po’ di crossplay ovvero cambiare sesso nella pratica cosplay per trasformarmi nel mio idolo preferito: il dott. Spock (uno dei protagonisti della mitica serie Star Trek).
Paola Lambardi: Ciao Donatella non tutti conoscono il tuo lavoro, quello del make up artist negli effetti speciali. Di cosa si tratta e come hai iniziato?
Donatella Mondani: In realtà si tratta dell’effettista, lo "special" make up artist. Ho iniziato negli anni ’80 — ero molto giovane, avevo vent’anni — e sono stata una pioniera nel mondo degli effetti speciali in Italia. Ho incominciato dedicandomi al trucco speciale, alla costruzione di piccole scenografie e mock up, ovvero a realizzare prototipi. In quegli anni c’erano diverse possibilità se consideri che il cinema in Italia negli anni ’80 era meno disposto al trucco e agli effetti speciali. Adesso è tutto cambiato, il cinema si è evoluto — se vogliamo parlare di evoluzione — perché dal mio punto di vista, l’avvento del 3D e dell’utilizzo del computer, ha tolto quella magia del cinema fatto ancora con le mani. Per ritornare alla mia formazione, ho fatto un percorso artistico — l’Accademia di Belle Arti di Brera — dove mi sono laureata in scultura e poi casualmente ho incontrato un grande truccatore, Stefano Anselmo che all’epoca si occupava delle grandi dive del mondo della musica come Mina, Ornella Vanoni, Anna Oxa. Parlando con Stefano è emersa l’idea di mettere insieme il mio sapere come scultrice e il suo come truccatore. In realtà eravamo in tre: Elisa Calcinari, Bruno Biagi e io, e posso considerare l’incontro con Stefano Anselmo come l’inizio della mia carriera perché ci ha aiutati a entrare nel mondo del make up e abbiamo iniziato a sperimentare. Stefano ha messo a disposizione uno spazio — oltre al suo sapere già immenso all’epoca — e abbiamo iniziato da autodidatti, prendendo come riferimento alcuni testi americani e in seguito abbiamo fatto dei corsi in Germania e negli Stati Uniti. Questo lavoro mi ha portato a insegnare in un corso pionieristico di effetti speciali e di trucco all’interno di una scuola in Italia.
PL: Ti ricordi uno dei primi lavori?
DM: Si, mi ricordo una primissima produzione per la televisione dove facevamo trucchi d’imitazione.
PL: Cosa sono i trucchi d’imitazione?
DM: Erano realizzazioni prostetiche di lattice o schiuma di lattice. Adesso ci sono i siliconi ed è tutto più tecnologico, in parte più semplice e la resa è davvero molto bella. Servivano per far assomigliare il comico al personaggio che doveva interpretare. Avevamo fatto pezzi di Gorbaciov, Craxi, Pertini da incollare sulla faccia. Un po’ come sto facendo da un po’ di anni — ma in maniera diversa — con Maurizio Crozza al quale fornisco i vari pezzi dei personaggi che imita. Lui però lavora molto sulla mimica facciale e con le parrucche, spesso con i nasi che gli preparo io anche se la metodologia di trucco è completamente diversa perché Crozza appoggia queste parti sul viso che solitamente vengono incollate e questo processo richiede ore e ore in sala trucco. Per tornare al primo lavoro, questa prima occasione televisiva ci ha permesso di iniziare. In seguito sono arrivati altri lavori come Mai dire gol dove i trucchi speciali per i personaggi di Teo Teocoli sono stati studiati e realizzati da noi o i trucchi per Scherzi a parte. Un altro ambito molto importante qui a Milano è la pubblicità dove ho lavorato tanto.
PL: Se eri a Roma facevi probabilmente più cinema?
DM: Si, anche se ho fatto tanti film e come sai, sono reduce da un set con una produzione internazionale.
PL: I tipi di lavoro e gli ambiti sono moltissimi, puoi farmi altri esempi?
DM: Gli ambiti sono svariati e molto diversi, al di là di quello che può essere il budget a disposizione. La resa finale è la cosa più importante. Per tornare al lavoro che faccio per Crozza, i miei nasi sono appoggiati per un motivo semplice, perché lavora in diretta dallo studio quindi come se fosse in teatro e ha bisogno di cambiarsi velocemente perché non ci sono i tempi tecnici per incollare, truccare, scollare, rimuovere la colla e rifare un trucco nuovo. Questo per fare un esempio di come può cambiare il mio lavoro a seconda delle situazioni.
PL: È più complicata la diretta?
DM: Più complicata non saprei perché il tipo di naso che preparo per Crozza ha delle caratteristiche diverse. Delle volte sono diversi i materiali rispetto a quello che posso fare nel cinema o nella pubblicità, dove il naso viene incollato sul viso e i bordi si devono sciogliere per fare in modo che sembri vero. Si lavora con tempi diversi e a fine giornata, quando rimuovi il trucco, il naso lo strappi e ogni volta ne serve uno nuovo, mentre Crozza può usare sempre lo stesso naso perché le luci sono diverse, è diverso il palinsesto e la struttura del programma.
PL: Chi è il tuo referente nella produzione di un film, di uno spettacolo o di un programma televisivo?
DM: In genere lavoro insieme al reparto costumi con il quale interagisco sempre e nel caso specifico di Crozza, è lui che — oltre a recitare e scrivere i testi — se desidera fare un personaggio mi da dei riferimenti e addirittura qualche volta parlo con lui di persona. Se invece lavoro in un film, parlo con il regista.
PL: C’è un ambito dove preferisci lavorare?
DM: No, non ho preferenze ma se devo fare una scelta direi lo spot pubblicitario perché è molto veloce, concentrato, meno impegnativo in termini di tempo. In ogni caso quello che fa la differenza è lo staff.
PL: Che team devi mettere in piedi? Ci sono dei lavori che puoi fare da sola?
DM: Crozza lo faccio da sola perché difficilmente comporta di dover chiamare dei colleghi o degli assistenti, mentre per il teatro, il cinema e la pubblicità — che è come fare un piccolo film — ho bisogno di fare una squadra.
PL: Quante persone vengono coinvolte?
DM: Dipende dalla difficoltà e dal numero dei trucchi che vanno fatti. Per esempio, in questo ultimo film che ho appena finito, ero a capo del mio reparto, quindi responsabile del trucco speciale, ed eravamo in cinque: io, un collega senior e tre junior professionisti.
PL: Secondo te qual è l’abilità maggiore che devi sviluppare in questo tipo di lavoro? Che skills devi avere?
DM: Al di là dell’abilità tecnica e della conoscenza chimica dei materiali, devi sempre essere aggiornato perché tutto si evolve rapidamente. Ma la cosa più importante è il modo di rapportarsi con i colleghi.
PL: Nel senso che ci deve essere collaborazione, fiducia, rispetto tra le persone coinvolte in un progetto?
DM: Si, bisogna essere molto bravi ad ascoltare e a collaborare che è una cosa che sto notando è sempre più difficile. Qualunque sia il tipo di produzione (film, teatro, pubblicità) lavori con diversi reparti che devono dialogare tra loro altrimenti non ha senso.
PL: La natura di certi lavori come il tuo è corale. Immagino riceverai una sceneggiatura che indicherà le cose che devi interpretare e realizzare.
DM: Si, il mio lavoro è quello di un operaio molto specializzato e lavori sempre per qualcun altro. Sei un grandissimo artigiano e non sei un artista. Quindi se non sei in sintonia con la tua committenza è un problema serio. Non stai facendo qualcosa che deve piacerti, ma devi fare qualcosa che piace. Vuol dire essere modesti ed essere distaccati è fondamentale. Riuscire a capire l’idea di un’altra persona e realizzarla richiede uno sforzo, ti rendi disponibile. Invece se non ti dai e non ti apri, questo lavoro non riesce. È importante capire cosa ti viene chiesto, anche se non è di tuo gusto, perché lavori in un progetto non tuo e questo determina la tua reputazione.
PL: C’è un aneddoto particolare che ti viene mente legato a un tuo lavoro?
DM: Sono davvero tanti, e pescarne uno in particolare, ci devo pensare... Ecco posso invece raccontarti una figura orrenda che mi è successa. In questo settore puoi immaginare quante volte ho lavorato su tagli, ferite, sangue, ecc. Il caso ha voluto che durante un lavoro una persona venisse a chiedermi aiuto perché era stata aggredita e io l’ho guardato e gli ho detto: “Non ti credo! Hai messo troppo sangue!”. Solo quando è svenuta, mi sono accorta che il sangue era vero!
PL: Quando la realtà supera la finzione… Purtroppo questa persona ha chiesto aiuto alla persona sbagliata (risate). Per tornare alle tue esperienze, puoi dirmi con quali registi hai lavorato?
DM: Ho fatto un grande spot con Win Wenders, un video con Brian De Palma, ho lavorato tantissimo in teatro con Luca Ronconi, in particolare con Margherita Palliche ha realizzato scene e costumi per lui. E poi ti confesso che non mi ricordo molto…
PL: Perché non tieni traccia dei tuoi lavori?
DM: No, niente. Non ho un sito internet, non ho un biglietto da visita perché ho sempre trovato lavoro con il passaparola. Non mi sono mai auto-promossa. Iniziando 40 anni fa eravamo veramente in pochi in Italia, soprattutto a Milano.
PL: Ma sarai su IMBD?
DM: Si, ci sono alcuni film che ho fatto. In realtà ho iniziato a raccogliere il mio materiale per partecipare ai bandi di concorso per insegnare. Arriva un momento in cui cerchi di allentare il carico, soprattutto il lavoro cinematografico che è molto impegnativo. All’inizio di un lavoro c’è la fase di preparazione, la presa dei calchi, modellarli, fare gli stampi, ecc. Poi c’è la fase di produzione, sempre molto serrata: 12, 13 anche 14 ore di lavoro, le notturne… Invecchiando ho iniziato a spostarmi verso l’insegnamento e per partecipare ai bandi, ho dovuto preparare un portfolio. Ormai sono più di 10 anni che insegno nel dipartimento di scenografia di Brera e alla Naba dove si può accedere per titoli e per meriti. Posso aggiungere che ho pubblicato nel 2014 il primo libro in Italia di effetti speciali di trucco: Manuale di effetti speciali pubblicato da BCM Editrice.
PL: Cosa consiglieresti a un giovane che vuole diventare make up artist? Oltre a seguire i tuoi corsi, ci sono esperienze particolari che suggerisci?
DM: Fare un tirocinio all’estero è sicuramente una buona esperienza.
PL: Dove?
DM: Prima della Brexit, era l’Inghilterra il paese più interessante dove si ci sono tantissime produzioni con effetti speciali nel cinema e nella televisione. Un tempo c’era la Germania ma le cose sono cambiate. Diciamo che da Harry Potter in poi, l’Inghilterra ha superato tutti. Ci sono però i grandi teatri in Germania e in Austria dove hanno i loro laboratori interni che sono straordinari e lì vale ancora la pena di andare.
PL: Per fare questa professione devi avere un laboratorio?
DM: Nel mio caso sì e deve essere molto attrezzato con forni e altri strumenti che servono per realizzare i lavori.
PL: C’è uno strumento che ti sei inventata? Una tecnica, una miscela, un attrezzo?
DM: Gli strumenti per modellare me li sono creati da sola. Generalmente chi fa questo lavoro se li costruisce ma prima devi aver acquisito parecchia esperienza.
PL: Devi quindi avere una capacità progettuale molto ampia.
DM: Si, perché ogni lavoro è diverso, affronti sempre un tema nuovo. Devi avere una grandissima fantasia, una bella apertura mentale e poi devi osservare tantissimo.
PL: Intendi osservare come sono fatte le cose?
DM: Si e non solo. Adesso tutto è più semplice, ma una volta dovevi inventarti come fare il sangue finto o simulare il ghiaccio o un fluido biologico come il vomito, per esempio. Dove vai a cercare gli elementi compatibili con l’effetto visivo in scena e con l’attore? Intendo con la tollerabilità sulla pelle, le mucose, ecc. L’ambito alimentare è molto interessante: se devo fare una vasca da bagno piena di sangue, va da sé che non posso comprare 800 litri di sangue finto perché costerebbe troppo alla produzione. Allora cosa posso utilizzare? Per esempio lo sciroppo di lamponi o di ciliegia o di qualunque frutto rosso. Approfitto per sfatare una leggenda: il sangue non si fa con il sugo di pomodoro! Perché ha tutta un’altra resa in pellicola. Il sangue finto deve risultare traslucido, avere una luminosità diversa e deve essere addensato in un certo modo per la resa scenica. Inoltre immergersi in una vasca di sciroppo non fa male alla pelle, rispetto ad acqua e tempera, per esempio. Quindi occorre osservare queste cose e trovare delle soluzioni. Ecco mi è venuto in mente un aneddoto a questo proposito! In una produzione che prevedeva un parto, mi hanno dato questo bebé di appena 10 giorni di vita da sporcare. Avevo tutti i miei prodotti — faccio una precisazione: sul set c’erano ovviamente i genitori che hanno autorizzato questa scena — però in quel momento non mi sono voluta fidare neanche del sangue finto che avevo portato, così ho chiesto alla produzione se compravano del miele e della marmellata. Devi sempre pensare a cosa può essere meno pericoloso, soprattutto con un bambino così piccolo che magari per sbaglio può ingerire o toccare una sostanza. Questa soluzione con dei materiali commestibili ha creato lo stesso effetto scenico, il bambino era maggiormente protetto e io mi sono sentita molto più tranquilla.
PL: Pare che la pandemia abbia movimentato molto la richiesta di serie televisive e c’è molto lavoro nel tuo settore. Sei d’accordo?
DM: Si, c’è tantissimo lavoro. Ai primi di agosto, quando ho iniziato il film di cui ti accennavo, era difficilissimo trovare camper, auto, mezzi in generale. Qui in Italia, appena usciti da lockdown, hanno iniziato a produrre come dei pazzi. Tutti i miei colleghi erano impegnati in produzioni di vario genere.
PL: Quindi per un giovane che vuole provare a cercare un lavoro in questo settore, questo è un buon momento?
DM: Si, nella produzione di questo film c’erano tanti giovani. Purtroppo il fatto di aver fatto due anni in DAD non li ha aiutati, soprattutto in una produzione internazionale come questa. Però devono pur iniziare a lavorare… Il mio consiglio è di fare un po’ di esperienza sul campo, magari facendo progetti personali perché li aiuta e così puoi cercare lavoro nelle case di produzione avendo un piccolo portfolio o un reel da mostrare.
PL: Parlami del tuo modo d’insegnare: hai una metodologia particolare?
DM: No. Ho degli obbiettivi e degli step obbligatori però tutto dipende dalla risposta dei ragazzi. Se ho una risposta immediata, posso andare veloce, se invece vedo che sono un po’ titubanti, mi fermo e lavoro sulle basi finché non macinano il linguaggio. Ti faccio un esempio molto banale: i ragazzi del triennio sono più giovani e da formare completamente, per cui per alcune cose vado più lenta. I ragazzi del biennio sono già formati e con loro posso usare un linguaggio comunicativo diverso, per quanto l’obbiettivo è lo stesso per entrambi. Non dimentichiamo che non tutti gli anni e non tutte le classi sono uguali.
PL: È come il vino! (risate) Intuisci subito chi ha qualcosa in più?
DM: Non sempre, perché ognuno di noi è un individuo a sé stante e non è scontato.
PL: Ma ti capita di coinvolgerli in qualche tuo lavoro?
DM: Si, certo. Spesso lavoro con i miei ex allievi e la selezione che faccio è basata soprattutto sul carattere della persona. L’atteggiamento deve essere quello che ti dicevo prima: umile, disponibile, collaborativo.
PL: Vorrei far uscire la tua intervista per Halloween, ci dai un trucco da fare magari con i bambini? Non so farli diventare dei vampiri o dei fantasmini?
DM: Non è la mia metodologia. Perché sono assolutamente professionale. Non direi mai a un mio studente di fare un lavoro in questo modo. Questo tipo di cose le lascio ai blogger. No, sono rigorosissima. Piuttosto non fatelo. Ai miei studenti dico sempre di smetterla di pubblicare sui social perché si sputtanano. Sono una persona goliardica ma non dò mai il permesso di pubblicare le cose che fanno con me se non sono più che a regola d’arte. Perché il mondo social da tante informazioni sbagliate. Ho visto lavori fatti sul viso con la colla che sono deleteri… Certe cose non dovrebbero essere mai trasmesse perché se impari in quel modo rischi poi di combinare qualche pasticcio, soprattutto nel mondo del lavoro.
PL: Allora mi compro la dentiera finta di Dracula?
DM: Bravissima! Ti compri un bel prodotto da trucco per farti bianca e poi ti metti i denti da vampiro. Tra l’altro funziona di più ed è anche elegante.
PL: Grazie Donatella per averci raccontato del tuo lavoro e suggerisco di seguirti sui social IG e FB
Questa intervista è dedicata a Donatella Mondani che da più di quarant’anni si occupa di effetti speciali nel make up — quello che in gergo viene chiamato trucco prostetico o protesi FX.
Tutto parte dal lifecasting cioè il calco dal vivo di una parte del corpo umano — una tecnica molto diffusa nel diciannovesimo secolo — considerata fondamentale nella formazione di uno scultore anche se all’epoca il calco diretto non poteva essere presentato come opera d'arte finita.
A questo proposito ricordiamo lo scandalo che suscitò L'età del bronzo di Rodin, esposta al Salon di Parigi del 1877, dove l’artista fu accusato di aver modellato la sua opera basandosi solo su un calco. Rodin ha sempre negato e cercò di provare il contrario facendo realmente il calco del modello che posò per lui. La nuova scultura venne inviata come prova alla giuria del Salon che però non aprì nemmeno la cassa.
L'interesse per il realismo e il casting dal vivo è riemerso in America negli anni '70 e '80 — Duane Hanson e John De Andrea sono tra i maggiori esponenti di questa corrente — anche se queste opere erano viste con un certo scetticismo dalla critica perché risultavano troppo facili e deboli come ricerca artistica. Solo in anni più recenti, artisti come Don Brown, Marc Quinn e Gavin Turk hanno esplorato attraverso il casting una riflessione più profonda, basata sui concetti del mito dell'artista e della paternità dell'opera d'arte.
Escludendo il mondo dell’arte contemporanea, questa tecnica è stata adottata brillantemente dal teatro, dal cinema, dalla televisione e Donatella Mondani — la prima donna in Italia a lavorare in questo settore del trucco prostetico — ci racconta le sue applicazioni più interessanti realizzate nel campo dell’intrattenimento e della comunicazione.
Non so voi, ma dopo questa intervista mi è venuta voglia di fare un po’ di crossplay ovvero cambiare sesso nella pratica cosplay per trasformarmi nel mio idolo preferito: il dott. Spock (uno dei protagonisti della mitica serie Star Trek).
Paola Lambardi: Ciao Donatella non tutti conoscono il tuo lavoro, quello del make up artist negli effetti speciali. Di cosa si tratta e come hai iniziato?
Donatella Mondani: In realtà si tratta dell’effettista, lo "special" make up artist. Ho iniziato negli anni ’80 — ero molto giovane, avevo vent’anni — e sono stata una pioniera nel mondo degli effetti speciali in Italia. Ho incominciato dedicandomi al trucco speciale, alla costruzione di piccole scenografie e mock up, ovvero a realizzare prototipi. In quegli anni c’erano diverse possibilità se consideri che il cinema in Italia negli anni ’80 era meno disposto al trucco e agli effetti speciali. Adesso è tutto cambiato, il cinema si è evoluto — se vogliamo parlare di evoluzione — perché dal mio punto di vista, l’avvento del 3D e dell’utilizzo del computer, ha tolto quella magia del cinema fatto ancora con le mani. Per ritornare alla mia formazione, ho fatto un percorso artistico — l’Accademia di Belle Arti di Brera — dove mi sono laureata in scultura e poi casualmente ho incontrato un grande truccatore, Stefano Anselmo che all’epoca si occupava delle grandi dive del mondo della musica come Mina, Ornella Vanoni, Anna Oxa. Parlando con Stefano è emersa l’idea di mettere insieme il mio sapere come scultrice e il suo come truccatore. In realtà eravamo in tre: Elisa Calcinari, Bruno Biagi e io, e posso considerare l’incontro con Stefano Anselmo come l’inizio della mia carriera perché ci ha aiutati a entrare nel mondo del make up e abbiamo iniziato a sperimentare. Stefano ha messo a disposizione uno spazio — oltre al suo sapere già immenso all’epoca — e abbiamo iniziato da autodidatti, prendendo come riferimento alcuni testi americani e in seguito abbiamo fatto dei corsi in Germania e negli Stati Uniti. Questo lavoro mi ha portato a insegnare in un corso pionieristico di effetti speciali e di trucco all’interno di una scuola in Italia.
PL: Ti ricordi uno dei primi lavori?
DM: Si, mi ricordo una primissima produzione per la televisione dove facevamo trucchi d’imitazione.
PL: Cosa sono i trucchi d’imitazione?
DM: Erano realizzazioni prostetiche di lattice o schiuma di lattice. Adesso ci sono i siliconi ed è tutto più tecnologico, in parte più semplice e la resa è davvero molto bella. Servivano per far assomigliare il comico al personaggio che doveva interpretare. Avevamo fatto pezzi di Gorbaciov, Craxi, Pertini da incollare sulla faccia. Un po’ come sto facendo da un po’ di anni — ma in maniera diversa — con Maurizio Crozza al quale fornisco i vari pezzi dei personaggi che imita. Lui però lavora molto sulla mimica facciale e con le parrucche, spesso con i nasi che gli preparo io anche se la metodologia di trucco è completamente diversa perché Crozza appoggia queste parti sul viso che solitamente vengono incollate e questo processo richiede ore e ore in sala trucco. Per tornare al primo lavoro, questa prima occasione televisiva ci ha permesso di iniziare. In seguito sono arrivati altri lavori come Mai dire gol dove i trucchi speciali per i personaggi di Teo Teocoli sono stati studiati e realizzati da noi o i trucchi per Scherzi a parte. Un altro ambito molto importante qui a Milano è la pubblicità dove ho lavorato tanto.
PL: Se eri a Roma facevi probabilmente più cinema?
DM: Si, anche se ho fatto tanti film e come sai, sono reduce da un set con una produzione internazionale.
PL: I tipi di lavoro e gli ambiti sono moltissimi, puoi farmi altri esempi?
DM: Gli ambiti sono svariati e molto diversi, al di là di quello che può essere il budget a disposizione. La resa finale è la cosa più importante. Per tornare al lavoro che faccio per Crozza, i miei nasi sono appoggiati per un motivo semplice, perché lavora in diretta dallo studio quindi come se fosse in teatro e ha bisogno di cambiarsi velocemente perché non ci sono i tempi tecnici per incollare, truccare, scollare, rimuovere la colla e rifare un trucco nuovo. Questo per fare un esempio di come può cambiare il mio lavoro a seconda delle situazioni.
PL: È più complicata la diretta?
DM: Più complicata non saprei perché il tipo di naso che preparo per Crozza ha delle caratteristiche diverse. Delle volte sono diversi i materiali rispetto a quello che posso fare nel cinema o nella pubblicità, dove il naso viene incollato sul viso e i bordi si devono sciogliere per fare in modo che sembri vero. Si lavora con tempi diversi e a fine giornata, quando rimuovi il trucco, il naso lo strappi e ogni volta ne serve uno nuovo, mentre Crozza può usare sempre lo stesso naso perché le luci sono diverse, è diverso il palinsesto e la struttura del programma.
PL: Chi è il tuo referente nella produzione di un film, di uno spettacolo o di un programma televisivo?
DM: In genere lavoro insieme al reparto costumi con il quale interagisco sempre e nel caso specifico di Crozza, è lui che — oltre a recitare e scrivere i testi — se desidera fare un personaggio mi da dei riferimenti e addirittura qualche volta parlo con lui di persona. Se invece lavoro in un film, parlo con il regista.
PL: C’è un ambito dove preferisci lavorare?
DM: No, non ho preferenze ma se devo fare una scelta direi lo spot pubblicitario perché è molto veloce, concentrato, meno impegnativo in termini di tempo. In ogni caso quello che fa la differenza è lo staff.
PL: Che team devi mettere in piedi? Ci sono dei lavori che puoi fare da sola?
DM: Crozza lo faccio da sola perché difficilmente comporta di dover chiamare dei colleghi o degli assistenti, mentre per il teatro, il cinema e la pubblicità — che è come fare un piccolo film — ho bisogno di fare una squadra.
PL: Quante persone vengono coinvolte?
DM: Dipende dalla difficoltà e dal numero dei trucchi che vanno fatti. Per esempio, in questo ultimo film che ho appena finito, ero a capo del mio reparto, quindi responsabile del trucco speciale, ed eravamo in cinque: io, un collega senior e tre junior professionisti.
PL: Secondo te qual è l’abilità maggiore che devi sviluppare in questo tipo di lavoro? Che skills devi avere?
DM: Al di là dell’abilità tecnica e della conoscenza chimica dei materiali, devi sempre essere aggiornato perché tutto si evolve rapidamente. Ma la cosa più importante è il modo di rapportarsi con i colleghi.
PL: Nel senso che ci deve essere collaborazione, fiducia, rispetto tra le persone coinvolte in un progetto?
DM: Si, bisogna essere molto bravi ad ascoltare e a collaborare che è una cosa che sto notando è sempre più difficile. Qualunque sia il tipo di produzione (film, teatro, pubblicità) lavori con diversi reparti che devono dialogare tra loro altrimenti non ha senso.
PL: La natura di certi lavori come il tuo è corale. Immagino riceverai una sceneggiatura che indicherà le cose che devi interpretare e realizzare.
DM: Si, il mio lavoro è quello di un operaio molto specializzato e lavori sempre per qualcun altro. Sei un grandissimo artigiano e non sei un artista. Quindi se non sei in sintonia con la tua committenza è un problema serio. Non stai facendo qualcosa che deve piacerti, ma devi fare qualcosa che piace. Vuol dire essere modesti ed essere distaccati è fondamentale. Riuscire a capire l’idea di un’altra persona e realizzarla richiede uno sforzo, ti rendi disponibile. Invece se non ti dai e non ti apri, questo lavoro non riesce. È importante capire cosa ti viene chiesto, anche se non è di tuo gusto, perché lavori in un progetto non tuo e questo determina la tua reputazione.
PL: C’è un aneddoto particolare che ti viene mente legato a un tuo lavoro?
DM: Sono davvero tanti, e pescarne uno in particolare, ci devo pensare... Ecco posso invece raccontarti una figura orrenda che mi è successa. In questo settore puoi immaginare quante volte ho lavorato su tagli, ferite, sangue, ecc. Il caso ha voluto che durante un lavoro una persona venisse a chiedermi aiuto perché era stata aggredita e io l’ho guardato e gli ho detto: “Non ti credo! Hai messo troppo sangue!”. Solo quando è svenuta, mi sono accorta che il sangue era vero!
PL: Quando la realtà supera la finzione… Purtroppo questa persona ha chiesto aiuto alla persona sbagliata (risate). Per tornare alle tue esperienze, puoi dirmi con quali registi hai lavorato?
DM: Ho fatto un grande spot con Win Wenders, un video con Brian De Palma, ho lavorato tantissimo in teatro con Luca Ronconi, in particolare con Margherita Palliche ha realizzato scene e costumi per lui. E poi ti confesso che non mi ricordo molto…
PL: Perché non tieni traccia dei tuoi lavori?
DM: No, niente. Non ho un sito internet, non ho un biglietto da visita perché ho sempre trovato lavoro con il passaparola. Non mi sono mai auto-promossa. Iniziando 40 anni fa eravamo veramente in pochi in Italia, soprattutto a Milano.
PL: Ma sarai su IMBD?
DM: Si, ci sono alcuni film che ho fatto. In realtà ho iniziato a raccogliere il mio materiale per partecipare ai bandi di concorso per insegnare. Arriva un momento in cui cerchi di allentare il carico, soprattutto il lavoro cinematografico che è molto impegnativo. All’inizio di un lavoro c’è la fase di preparazione, la presa dei calchi, modellarli, fare gli stampi, ecc. Poi c’è la fase di produzione, sempre molto serrata: 12, 13 anche 14 ore di lavoro, le notturne… Invecchiando ho iniziato a spostarmi verso l’insegnamento e per partecipare ai bandi, ho dovuto preparare un portfolio. Ormai sono più di 10 anni che insegno nel dipartimento di scenografia di Brera e alla Naba dove si può accedere per titoli e per meriti. Posso aggiungere che ho pubblicato nel 2014 il primo libro in Italia di effetti speciali di trucco: Manuale di effetti speciali pubblicato da BCM Editrice.
PL: Cosa consiglieresti a un giovane che vuole diventare make up artist? Oltre a seguire i tuoi corsi, ci sono esperienze particolari che suggerisci?
DM: Fare un tirocinio all’estero è sicuramente una buona esperienza.
PL: Dove?
DM: Prima della Brexit, era l’Inghilterra il paese più interessante dove si ci sono tantissime produzioni con effetti speciali nel cinema e nella televisione. Un tempo c’era la Germania ma le cose sono cambiate. Diciamo che da Harry Potter in poi, l’Inghilterra ha superato tutti. Ci sono però i grandi teatri in Germania e in Austria dove hanno i loro laboratori interni che sono straordinari e lì vale ancora la pena di andare.
PL: Per fare questa professione devi avere un laboratorio?
DM: Nel mio caso sì e deve essere molto attrezzato con forni e altri strumenti che servono per realizzare i lavori.
PL: C’è uno strumento che ti sei inventata? Una tecnica, una miscela, un attrezzo?
DM: Gli strumenti per modellare me li sono creati da sola. Generalmente chi fa questo lavoro se li costruisce ma prima devi aver acquisito parecchia esperienza.
PL: Devi quindi avere una capacità progettuale molto ampia.
DM: Si, perché ogni lavoro è diverso, affronti sempre un tema nuovo. Devi avere una grandissima fantasia, una bella apertura mentale e poi devi osservare tantissimo.
PL: Intendi osservare come sono fatte le cose?
DM: Si e non solo. Adesso tutto è più semplice, ma una volta dovevi inventarti come fare il sangue finto o simulare il ghiaccio o un fluido biologico come il vomito, per esempio. Dove vai a cercare gli elementi compatibili con l’effetto visivo in scena e con l’attore? Intendo con la tollerabilità sulla pelle, le mucose, ecc. L’ambito alimentare è molto interessante: se devo fare una vasca da bagno piena di sangue, va da sé che non posso comprare 800 litri di sangue finto perché costerebbe troppo alla produzione. Allora cosa posso utilizzare? Per esempio lo sciroppo di lamponi o di ciliegia o di qualunque frutto rosso. Approfitto per sfatare una leggenda: il sangue non si fa con il sugo di pomodoro! Perché ha tutta un’altra resa in pellicola. Il sangue finto deve risultare traslucido, avere una luminosità diversa e deve essere addensato in un certo modo per la resa scenica. Inoltre immergersi in una vasca di sciroppo non fa male alla pelle, rispetto ad acqua e tempera, per esempio. Quindi occorre osservare queste cose e trovare delle soluzioni. Ecco mi è venuto in mente un aneddoto a questo proposito! In una produzione che prevedeva un parto, mi hanno dato questo bebé di appena 10 giorni di vita da sporcare. Avevo tutti i miei prodotti — faccio una precisazione: sul set c’erano ovviamente i genitori che hanno autorizzato questa scena — però in quel momento non mi sono voluta fidare neanche del sangue finto che avevo portato, così ho chiesto alla produzione se compravano del miele e della marmellata. Devi sempre pensare a cosa può essere meno pericoloso, soprattutto con un bambino così piccolo che magari per sbaglio può ingerire o toccare una sostanza. Questa soluzione con dei materiali commestibili ha creato lo stesso effetto scenico, il bambino era maggiormente protetto e io mi sono sentita molto più tranquilla.
PL: Pare che la pandemia abbia movimentato molto la richiesta di serie televisive e c’è molto lavoro nel tuo settore. Sei d’accordo?
DM: Si, c’è tantissimo lavoro. Ai primi di agosto, quando ho iniziato il film di cui ti accennavo, era difficilissimo trovare camper, auto, mezzi in generale. Qui in Italia, appena usciti da lockdown, hanno iniziato a produrre come dei pazzi. Tutti i miei colleghi erano impegnati in produzioni di vario genere.
PL: Quindi per un giovane che vuole provare a cercare un lavoro in questo settore, questo è un buon momento?
DM: Si, nella produzione di questo film c’erano tanti giovani. Purtroppo il fatto di aver fatto due anni in DAD non li ha aiutati, soprattutto in una produzione internazionale come questa. Però devono pur iniziare a lavorare… Il mio consiglio è di fare un po’ di esperienza sul campo, magari facendo progetti personali perché li aiuta e così puoi cercare lavoro nelle case di produzione avendo un piccolo portfolio o un reel da mostrare.
PL: Parlami del tuo modo d’insegnare: hai una metodologia particolare?
DM: No. Ho degli obbiettivi e degli step obbligatori però tutto dipende dalla risposta dei ragazzi. Se ho una risposta immediata, posso andare veloce, se invece vedo che sono un po’ titubanti, mi fermo e lavoro sulle basi finché non macinano il linguaggio. Ti faccio un esempio molto banale: i ragazzi del triennio sono più giovani e da formare completamente, per cui per alcune cose vado più lenta. I ragazzi del biennio sono già formati e con loro posso usare un linguaggio comunicativo diverso, per quanto l’obbiettivo è lo stesso per entrambi. Non dimentichiamo che non tutti gli anni e non tutte le classi sono uguali.
PL: È come il vino! (risate) Intuisci subito chi ha qualcosa in più?
DM: Non sempre, perché ognuno di noi è un individuo a sé stante e non è scontato.
PL: Ma ti capita di coinvolgerli in qualche tuo lavoro?
DM: Si, certo. Spesso lavoro con i miei ex allievi e la selezione che faccio è basata soprattutto sul carattere della persona. L’atteggiamento deve essere quello che ti dicevo prima: umile, disponibile, collaborativo.
PL: Vorrei far uscire la tua intervista per Halloween, ci dai un trucco da fare magari con i bambini? Non so farli diventare dei vampiri o dei fantasmini?
DM: Non è la mia metodologia. Perché sono assolutamente professionale. Non direi mai a un mio studente di fare un lavoro in questo modo. Questo tipo di cose le lascio ai blogger. No, sono rigorosissima. Piuttosto non fatelo. Ai miei studenti dico sempre di smetterla di pubblicare sui social perché si sputtanano. Sono una persona goliardica ma non dò mai il permesso di pubblicare le cose che fanno con me se non sono più che a regola d’arte. Perché il mondo social da tante informazioni sbagliate. Ho visto lavori fatti sul viso con la colla che sono deleteri… Certe cose non dovrebbero essere mai trasmesse perché se impari in quel modo rischi poi di combinare qualche pasticcio, soprattutto nel mondo del lavoro.
PL: Allora mi compro la dentiera finta di Dracula?
DM: Bravissima! Ti compri un bel prodotto da trucco per farti bianca e poi ti metti i denti da vampiro. Tra l’altro funziona di più ed è anche elegante.
PL: Grazie Donatella per averci raccontato del tuo lavoro e suggerisco di seguirti sui social IG e FB