La terza intervista è con Mariagiovanna Di Iorio giovane designer della comunicazione, ricercatrice al Politecnico di Milano. Ci racconta il suo percorso di studi, le sue esperienze e i suoi progetti sempre curiosi, divertenti, dove c’è sempre un ingaggio ironico e sottile con l’osservatore. Buona visione e buona lettura.
Paola Lambardi: Come hai scelto di fare questo lavoro? Che percorso di studi hai fatto?
Mariagiovanna Di Iorio: Ho scelto in maniera inconscia perché non sapevo con esattezza cosa fosse un designer della comunicazione. Sapevo che volevo fare un lavoro che non m’annoiasse e dove poter soddisfare una certa curiosità, e mi piacevano le lingue. Ho scelto di iscrivermi al bachelor in design e arti della Libera Università di Bolzano, dove si studia in tre lingue: italiano, inglese e tedesco. Questa esperienza mi ha dato un imprinting importante rispetto al modo in cui mi approccio al progetto, mi ha insegnato a dialogare e a lavorare con gli artigiani per la costruzione dei protototipi e per la ricerca di soluzioni tecniche percorribili, partendo da un’idea rendendola realizzabile e a comunicarla per renderla “presentabile”.
PL: Puoi raccontarci il tuo primo progetto durante il primo anno?
MDI: Erano dei promemoria tridimensionali su come risparmiare l’energia. Contenevano delle informazioni pratiche e attraverso le istruzioni su come fare le varie piegature, creavi un origami: per l’aria creavi un uccellino, per l’acqua un pesce e per l’energia una foglia e potevano essere appesi o incollati per ricordare il messaggio.
PL: Dopo Bolzano cosa hai fatto?
MDI: Uno stage che poi è diventato una collaborazione di circa un anno nello studio di Matteo Ragni che era stato uno dei miei docenti. Il suo studio si divideva tra il design del prodotto e l’art direction.
PL: Cosa intendi per art direction? Perché è una parola troppo abusata…
MDI: In questo caso per art direction s’intende il lavoro di consulenza che fa un designer per un’azienda sulla realizzazione di progetti, non di un singolo prodotto, ma di sistemi o linee di prodotti che prevedono esperienze, eventi con il fine di comunicare o rafforzare l’identità di un’azienda. Lavorando in studioho avuto la conferma che la progettazione del prodotto inteso come oggetto (una sedia, un divano o una lampada, ecc.), non mi appassionava quanto la parte di comunicazione e di racconto.
PL: Quindi hai continuato i tuoi studi?
MDI: Si, mi sono iscritta alla laurea specialistica del Politecnico di Milano in Design della Comunicazione. In questo percorso ho avuto modo di approfondire la parte teorica e affrontare a livello progettuale e di ricerca alcuni temi che ancora oggi sono di mio interesse e fanno parte del mio lavoro. Gli ambiti dove mi confronto con il mio lavoro di ricerca sono il rapporto tra analogico e digitale, non visti come due mondi contrapposti ma come strumenti progettuali diversi e la tendenza al progetto di sistemi ed esperienze di comunicazione transmediali. Poi c’è il mio interesse verso progetti culturali e educativi, ma con carattere ludico.
PL: Come generazione sei a cavallo tra i due mondi: analogico e digitale. Come s’innestano nel tuo lavoro di designer della comunicazione?
MDI: Lavoro in entrambi gli ambiti e non li trovo differenti. Il progetto è progetto con qualunque mezzo lo si realizzi. Mi piace pensare al designer come al professionista che ha sempre da imparare, da fare domande, curiosità da soddisfare e soluzioni da provare.
Per essere un designer della comunicazione bisogna avere interesse per la contemporaneità, serve sempre un occhio analitico per osservarla e capire da che parte sta andando, e studiarla costantemente. Ecco perché credo di aver scelto il percorso giusto per me: volevo fare un lavoro dove non ci si annoia mai e non si smette mai di imparare. Alla fine ogni progetto potrebbe non finire mai. Bisogna fermarsi e decidere che è finito perché hai l’urgenza di “doverlo buttare fuori”. È il risultato di una esigenza in uno specifico momento, del contesto in cui nasce e di quello a cui è funzionale.
PL: Che un progetto non finisca mai è un paradosso…
MDI: Si, perché tendiamo alla perfezione. Invece la perfezione è momentanea: il progetto è perfetto per quel momento preciso. Se avessi più tempo o disponibilità diverse, sarebbe perfetto in maniera diversa.
PL: Hai anticipato la domanda che riguarda le abilità che deve avere un designer della comunicazione. Quali sono le skills fondamentali? Ci sono diversi ruoli diverse forme: designer, grafico, art director, direttore creativo…
MDI: La prima abilità che mi viene in mente è una grande capacità di ascolto e dialogo, sia con i committenti, sia con i professionisti che realizzeranno il progetto. La seconda abilità è vedere nei limiti una grande opportunità progettuale, saperli gestire e sfruttarli come vantaggio e non subirli. L’ultima che mi viene in mente è la capacità di prevedere, di correggere il tiro se qualcosa rischia di andare storto, avere sempre un piano B, un asso nella manica.
PL: Quindi la necessità di arrivare alla consegna del task entro certi termini è sempre una spada di Damocle che tormenta tutti!
MDI: Infatti devi avere una bella capacità di problem solving e spesso di azione fulminante, soprattutto se sei anche l’esecutore del progetto, come in alcuni lavori di grafica. I ritardi nel processo di tutto il progetto si ripercuotono sul tuo lavoro. Quello è il momento in cui metti a frutto la capacità di progettare, prevedere e un po’ improvvisare quando serve, per ottenere il migliore dei risultati possibili.
PL: Vorrei parlare del tuo progetto Stampatelle che hai realizzato quando hai fatto il tuo dottorato di ricerca a Bolzano. Qui hai messo in atto diverse skills!
MDI: Giusto! Le Stampatelle nascono da un bando del museo del bambini di Milano, il MuBa per Expo 2015 Nutrire il pianeta, energia per la vita.
Ho partecipato durante il mio incarico di ricercatrice alla Libera Università di Bolzano, dove ho lavorato con il prof. Kuno Prey, che è co-autore di questo progetto. Il titolo completo è “Stampatelle: messaggi buoni da mangiare” un laboratorio in cui i bambini sono chiamati a formulare un messaggio da mangiare, un pensiero a più livelli, da assaporare con gli occhi, la testa e le papille gustative. L’attività del laboratorio era a metà tra quella del pastaio e quella del compositore tipografico. Fare la pasta in casa è un'attività fortemente radicata nel territorio italiano, legata alla tradizione e alla condivisione del sapere tra generazioni e allo stesso tempo parla dell'Italia nel mondo. L’obbiettivo era rendere i bambini più consapevoli di quali sono gli ingredienti con cui viene fatta la pasta e rendere esplicito la metafora del cibo come veicolo della nostra cultura e quindi portatrice di un messaggio.
La difficoltà era dover progettare e organizzare tutto: dall’attività del laboratorio, alla produzione e ricerca degli strumenti. Oltre al design e produzione del mattarello con i caratteri mobili per stampare i messaggi sulla pasta, c’era tutta la parte di comunicazione, l’art direction, la grafica, i materiali per l’allestimento in un luogo protetto dai beni culturali (la Rotonda della Besana). Ho progettato ogni elemento del progetto: dal packaging per la pasta, al libretto da portare a casa dopo il laboratorio, le t-shirt e i grembiuli per gli educatori e ho dovuto persino fare il corso HCCP perché maneggiavamo alimenti in un contesto pubblico.
Il lavoro è stato intenso, ma la soddisfazione è stata grande: il laboratorio è stato molto richiesto e lo abbiamo riproposto tantissime volte in luoghi e situazioni diversi, persino in Germania e Austria. Ha ricevuto una menzione d’onore al Compasso d’Oro Internazionale del 2015 ed è stato tra i progetti selezionati per il concorso di AIAP AWDA 2017.
PL: Quanto tempo ha richiesto questo progetto?
MDI: Diversi mesi. Nel dicembre 2014 ho iniziato a pensare al progetto e a luglio 2015 c’era il laboratorio.
PL: Come mai non è stato messo in commercio il mattarello?
MDI: Non ci abbiamo neanche provato. Non era nelle nostre intenzioni farlo diventare un prodotto perché non era quella la finalità per cui l’avevamo progettato. Il vero oggetto del progetto era l’attività nei laboratori. Il mattarello è la metafora che avevamo per inserire un altro livello di competenza, il lavoro di un tipografo e come si stampa su un materiale. Era un modo per ricollegarlo all’università di Bolzano, in pratica stavamo reclutando mini studenti in erba… (risate). Scherzi a parte, la nostra finalità di progetto era l’attività educativa per il MuBa sui temi legati al cibo di Expo 2015, con il punto di vista progettuale di una facoltà di design.
PL: Quanto è importante promuovere e comunicare l’identità di un’istituzione o di un’azienda attraverso questo tipo di attività collaterali?
MDI: La comunicazione può avere tante forme. Oggi l’acquisto di qualsiasi prodotto anche culturale, passa per l’esperienza. Tutti devono progettare e comunicare partendo da questo dato.
PL: Il mondo della comunicazione (e del marketing) sembra essere concentrato nel web per capire la profilazione degli utenti e come ingaggiarli, cosa ne pensi?
MDI: Lo sforzo nel creare i contenuti e l’ingaggio con gli utenti è enorme, pari se non di più, rispetto allo studio di un prodotto.
PL: Quanto veloce deve essere la filiera della comunicazione?
MDI: Molto. Anche le persone. La rete, i social, la profilazione utente hanno cambiato il punto di vista del marketing che adesso non è più rivolto a dei gruppi ampi (le masse) ma è concentrato su nicchie di pubblico molto precise. Oggi le aziende sono customer obsessed (risate). Il problema dell’acquisizione dei dati sul comportamento degli utenti online può generare strategie molto invasive. Il punto cruciale è il rispetto della privacy degli utenti.
PL: Sei d’accordo su questa strategia?
MDI: La sto descrivendo da un punto di vista oggettivo. Comprendo le necessità ma in Italia, per esempio, non c’è un livello alto di conoscenza tecnologica. Tante cose si sono sdoganate in fretta, per esempio lo abbiamo visto nel periodo della pandemia. Ci sono tanti utenti che non sono consapevoli di quello che stanno facendo, quando per esempio, si richiede l’inserimento dei propri dati su certe applicazioni o servizi digitali.
PL: Ovvero la gratuità non esiste.
MDI: Esatto. I servizi gratis non esistono. Se ci sembrano gratis vuol dire che li stiamo pagando in altri modi: con i tuoi dati personali e le tue informazioni, la tua mail e il tipo di utilizzo che fai del servizio. Esempio: quale evento mi interessa? In quale ristorante vado, a quali contenuti mostro interesse? Sono tutte informazioni commerciali. La moneta di scambio sono le informazioni su noi stessi in quanto potenziali consumatori.
PL: Però l’altra faccia della medaglia è che i social sono diventate dei luoghi anche di lotta con cause positive.
MDI: Certo, tutto ha un positivo e un negativo e non demonizzo il media. Spesso però manca la consapevolezza. Quindi se mi lamento di un banner pubblicitario, non è che c’è un complotto. Sei tu ad aver dato questa possibilità di far vedere i tuoi movimenti. Non so quanto questo concetto sia stato compreso dal pubblico.
PL: Eppure noi ne parliamo tanto, almeno nel nostro settore…
MDI: Si, perché ci interessiamo di comunicazione. Mia nonna che usa Whatsapp non ha la consapevolezza perché è distante da questa logica e da questo modo di pensare. Dovrebbe rimettersi a studiare per capire i passaggi di cosa è successo…
PL: Vorrei concludere con dei suggerimenti: per esempio tu hai studiato in tre lingue, c’è una ragione specifica?
MDI: Imparare una lingua straniera è imparare il modo di pensare di un’altra cultura, qualunque lingua va bene. Chi sa tante lingue ha una visione più ampia del mondo. Le parole, tradotte nelle diverse lingue, ti fanno capire le affinità e le contrapposizioni tra culture, il modo di pensare rispetto a determinati argomenti. Per un designer la cultura è fonte d’ispirazione, di comprensione del mondo.
PL: Cosa consigli a un giovane interessato alla comunicazione?
MDI: Coltivare degli interessi spontaneamente, aldilà di quello che può sembrare mirato al tuo obiettivo lavorativo. E poi essere pronti a cambiare, anche paese, città, perché aiuta a imparare.
PL: Grazie Mariagiovanna per la tua disponiblità a parlare del tuo lavoro.
La terza intervista è con Mariagiovanna Di Iorio giovane designer della comunicazione, ricercatrice al Politecnico di Milano. Ci racconta il suo percorso di studi, le sue esperienze e i suoi progetti sempre curiosi, divertenti, dove c’è sempre un ingaggio ironico e sottile con l’osservatore. Buona visione e buona lettura.
Paola Lambardi: Come hai scelto di fare questo lavoro? Che percorso di studi hai fatto?
Mariagiovanna Di Iorio: Ho scelto in maniera inconscia perché non sapevo con esattezza cosa fosse un designer della comunicazione. Sapevo che volevo fare un lavoro che non m’annoiasse e dove poter soddisfare una certa curiosità, e mi piacevano le lingue. Ho scelto di iscrivermi al bachelor in design e arti della Libera Università di Bolzano, dove si studia in tre lingue: italiano, inglese e tedesco. Questa esperienza mi ha dato un imprinting importante rispetto al modo in cui mi approccio al progetto, mi ha insegnato a dialogare e a lavorare con gli artigiani per la costruzione dei protototipi e per la ricerca di soluzioni tecniche percorribili, partendo da un’idea rendendola realizzabile e a comunicarla per renderla “presentabile”.
PL: Puoi raccontarci il tuo primo progetto durante il primo anno?
MDI: Erano dei promemoria tridimensionali su come risparmiare l’energia. Contenevano delle informazioni pratiche e attraverso le istruzioni su come fare le varie piegature, creavi un origami: per l’aria creavi un uccellino, per l’acqua un pesce e per l’energia una foglia e potevano essere appesi o incollati per ricordare il messaggio.
PL: Dopo Bolzano cosa hai fatto?
MDI: Uno stage che poi è diventato una collaborazione di circa un anno nello studio di Matteo Ragni che era stato uno dei miei docenti. Il suo studio si divideva tra il design del prodotto e l’art direction.
PL: Cosa intendi per art direction? Perché è una parola troppo abusata…
MDI: In questo caso per art direction s’intende il lavoro di consulenza che fa un designer per un’azienda sulla realizzazione di progetti, non di un singolo prodotto, ma di sistemi o linee di prodotti che prevedono esperienze, eventi con il fine di comunicare o rafforzare l’identità di un’azienda. Lavorando in studioho avuto la conferma che la progettazione del prodotto inteso come oggetto (una sedia, un divano o una lampada, ecc.), non mi appassionava quanto la parte di comunicazione e di racconto.
PL: Quindi hai continuato i tuoi studi?
MDI: Si, mi sono iscritta alla laurea specialistica del Politecnico di Milano in Design della Comunicazione. In questo percorso ho avuto modo di approfondire la parte teorica e affrontare a livello progettuale e di ricerca alcuni temi che ancora oggi sono di mio interesse e fanno parte del mio lavoro. Gli ambiti dove mi confronto con il mio lavoro di ricerca sono il rapporto tra analogico e digitale, non visti come due mondi contrapposti ma come strumenti progettuali diversi e la tendenza al progetto di sistemi ed esperienze di comunicazione transmediali. Poi c’è il mio interesse verso progetti culturali e educativi, ma con carattere ludico.
PL: Come generazione sei a cavallo tra i due mondi: analogico e digitale. Come s’innestano nel tuo lavoro di designer della comunicazione?
MDI: Lavoro in entrambi gli ambiti e non li trovo differenti. Il progetto è progetto con qualunque mezzo lo si realizzi. Mi piace pensare al designer come al professionista che ha sempre da imparare, da fare domande, curiosità da soddisfare e soluzioni da provare.
Per essere un designer della comunicazione bisogna avere interesse per la contemporaneità, serve sempre un occhio analitico per osservarla e capire da che parte sta andando, e studiarla costantemente. Ecco perché credo di aver scelto il percorso giusto per me: volevo fare un lavoro dove non ci si annoia mai e non si smette mai di imparare. Alla fine ogni progetto potrebbe non finire mai. Bisogna fermarsi e decidere che è finito perché hai l’urgenza di “doverlo buttare fuori”. È il risultato di una esigenza in uno specifico momento, del contesto in cui nasce e di quello a cui è funzionale.
PL: Che un progetto non finisca mai è un paradosso…
MDI: Si, perché tendiamo alla perfezione. Invece la perfezione è momentanea: il progetto è perfetto per quel momento preciso. Se avessi più tempo o disponibilità diverse, sarebbe perfetto in maniera diversa.
PL: Hai anticipato la domanda che riguarda le abilità che deve avere un designer della comunicazione. Quali sono le skills fondamentali? Ci sono diversi ruoli diverse forme: designer, grafico, art director, direttore creativo…
MDI: La prima abilità che mi viene in mente è una grande capacità di ascolto e dialogo, sia con i committenti, sia con i professionisti che realizzeranno il progetto. La seconda abilità è vedere nei limiti una grande opportunità progettuale, saperli gestire e sfruttarli come vantaggio e non subirli. L’ultima che mi viene in mente è la capacità di prevedere, di correggere il tiro se qualcosa rischia di andare storto, avere sempre un piano B, un asso nella manica.
PL: Quindi la necessità di arrivare alla consegna del task entro certi termini è sempre una spada di Damocle che tormenta tutti!
MDI: Infatti devi avere una bella capacità di problem solving e spesso di azione fulminante, soprattutto se sei anche l’esecutore del progetto, come in alcuni lavori di grafica. I ritardi nel processo di tutto il progetto si ripercuotono sul tuo lavoro. Quello è il momento in cui metti a frutto la capacità di progettare, prevedere e un po’ improvvisare quando serve, per ottenere il migliore dei risultati possibili.
PL: Vorrei parlare del tuo progetto Stampatelle che hai realizzato quando hai fatto il tuo dottorato di ricerca a Bolzano. Qui hai messo in atto diverse skills!
MDI: Giusto! Le Stampatelle nascono da un bando del museo del bambini di Milano, il MuBa per Expo 2015 Nutrire il pianeta, energia per la vita.
Ho partecipato durante il mio incarico di ricercatrice alla Libera Università di Bolzano, dove ho lavorato con il prof. Kuno Prey, che è co-autore di questo progetto. Il titolo completo è “Stampatelle: messaggi buoni da mangiare” un laboratorio in cui i bambini sono chiamati a formulare un messaggio da mangiare, un pensiero a più livelli, da assaporare con gli occhi, la testa e le papille gustative. L’attività del laboratorio era a metà tra quella del pastaio e quella del compositore tipografico. Fare la pasta in casa è un'attività fortemente radicata nel territorio italiano, legata alla tradizione e alla condivisione del sapere tra generazioni e allo stesso tempo parla dell'Italia nel mondo. L’obbiettivo era rendere i bambini più consapevoli di quali sono gli ingredienti con cui viene fatta la pasta e rendere esplicito la metafora del cibo come veicolo della nostra cultura e quindi portatrice di un messaggio.
La difficoltà era dover progettare e organizzare tutto: dall’attività del laboratorio, alla produzione e ricerca degli strumenti. Oltre al design e produzione del mattarello con i caratteri mobili per stampare i messaggi sulla pasta, c’era tutta la parte di comunicazione, l’art direction, la grafica, i materiali per l’allestimento in un luogo protetto dai beni culturali (la Rotonda della Besana). Ho progettato ogni elemento del progetto: dal packaging per la pasta, al libretto da portare a casa dopo il laboratorio, le t-shirt e i grembiuli per gli educatori e ho dovuto persino fare il corso HCCP perché maneggiavamo alimenti in un contesto pubblico.
Il lavoro è stato intenso, ma la soddisfazione è stata grande: il laboratorio è stato molto richiesto e lo abbiamo riproposto tantissime volte in luoghi e situazioni diversi, persino in Germania e Austria. Ha ricevuto una menzione d’onore al Compasso d’Oro Internazionale del 2015 ed è stato tra i progetti selezionati per il concorso di AIAP AWDA 2017.
PL: Quanto tempo ha richiesto questo progetto?
MDI: Diversi mesi. Nel dicembre 2014 ho iniziato a pensare al progetto e a luglio 2015 c’era il laboratorio.
PL: Come mai non è stato messo in commercio il mattarello?
MDI: Non ci abbiamo neanche provato. Non era nelle nostre intenzioni farlo diventare un prodotto perché non era quella la finalità per cui l’avevamo progettato. Il vero oggetto del progetto era l’attività nei laboratori. Il mattarello è la metafora che avevamo per inserire un altro livello di competenza, il lavoro di un tipografo e come si stampa su un materiale. Era un modo per ricollegarlo all’università di Bolzano, in pratica stavamo reclutando mini studenti in erba… (risate). Scherzi a parte, la nostra finalità di progetto era l’attività educativa per il MuBa sui temi legati al cibo di Expo 2015, con il punto di vista progettuale di una facoltà di design.
PL: Quanto è importante promuovere e comunicare l’identità di un’istituzione o di un’azienda attraverso questo tipo di attività collaterali?
MDI: La comunicazione può avere tante forme. Oggi l’acquisto di qualsiasi prodotto anche culturale, passa per l’esperienza. Tutti devono progettare e comunicare partendo da questo dato.
PL: Il mondo della comunicazione (e del marketing) sembra essere concentrato nel web per capire la profilazione degli utenti e come ingaggiarli, cosa ne pensi?
MDI: Lo sforzo nel creare i contenuti e l’ingaggio con gli utenti è enorme, pari se non di più, rispetto allo studio di un prodotto.
PL: Quanto veloce deve essere la filiera della comunicazione?
MDI: Molto. Anche le persone. La rete, i social, la profilazione utente hanno cambiato il punto di vista del marketing che adesso non è più rivolto a dei gruppi ampi (le masse) ma è concentrato su nicchie di pubblico molto precise. Oggi le aziende sono customer obsessed (risate). Il problema dell’acquisizione dei dati sul comportamento degli utenti online può generare strategie molto invasive. Il punto cruciale è il rispetto della privacy degli utenti.
PL: Sei d’accordo su questa strategia?
MDI: La sto descrivendo da un punto di vista oggettivo. Comprendo le necessità ma in Italia, per esempio, non c’è un livello alto di conoscenza tecnologica. Tante cose si sono sdoganate in fretta, per esempio lo abbiamo visto nel periodo della pandemia. Ci sono tanti utenti che non sono consapevoli di quello che stanno facendo, quando per esempio, si richiede l’inserimento dei propri dati su certe applicazioni o servizi digitali.
PL: Ovvero la gratuità non esiste.
MDI: Esatto. I servizi gratis non esistono. Se ci sembrano gratis vuol dire che li stiamo pagando in altri modi: con i tuoi dati personali e le tue informazioni, la tua mail e il tipo di utilizzo che fai del servizio. Esempio: quale evento mi interessa? In quale ristorante vado, a quali contenuti mostro interesse? Sono tutte informazioni commerciali. La moneta di scambio sono le informazioni su noi stessi in quanto potenziali consumatori.
PL: Però l’altra faccia della medaglia è che i social sono diventate dei luoghi anche di lotta con cause positive.
MDI: Certo, tutto ha un positivo e un negativo e non demonizzo il media. Spesso però manca la consapevolezza. Quindi se mi lamento di un banner pubblicitario, non è che c’è un complotto. Sei tu ad aver dato questa possibilità di far vedere i tuoi movimenti. Non so quanto questo concetto sia stato compreso dal pubblico.
PL: Eppure noi ne parliamo tanto, almeno nel nostro settore…
MDI: Si, perché ci interessiamo di comunicazione. Mia nonna che usa Whatsapp non ha la consapevolezza perché è distante da questa logica e da questo modo di pensare. Dovrebbe rimettersi a studiare per capire i passaggi di cosa è successo…
PL: Vorrei concludere con dei suggerimenti: per esempio tu hai studiato in tre lingue, c’è una ragione specifica?
MDI: Imparare una lingua straniera è imparare il modo di pensare di un’altra cultura, qualunque lingua va bene. Chi sa tante lingue ha una visione più ampia del mondo. Le parole, tradotte nelle diverse lingue, ti fanno capire le affinità e le contrapposizioni tra culture, il modo di pensare rispetto a determinati argomenti. Per un designer la cultura è fonte d’ispirazione, di comprensione del mondo.
PL: Cosa consigli a un giovane interessato alla comunicazione?
MDI: Coltivare degli interessi spontaneamente, aldilà di quello che può sembrare mirato al tuo obiettivo lavorativo. E poi essere pronti a cambiare, anche paese, città, perché aiuta a imparare.
PL: Grazie Mariagiovanna per la tua disponiblità a parlare del tuo lavoro.