Il 28 Ottobre 2021 ho intervistato Samanta Montagna, registrar alla galleria Massimo De Carlo. Dal novembre 2022 ricopre lo stesso ruolo alla Fondazione Prada di Milano.
La figura del registrar si occupa della gestione delle opere e delle installazioni di arte contemporanea e di design nell'ambito museale ed espositivo. In particolare coordina tutte le fasi e le procedure tecniche e organizzative relative ai prestiti e agli eventi. Controlla inoltre gli aspetti di conservazione e sicurezza delle opere in base alla approfondita conoscenza delle loro caratteristiche materiche e strutturali. Collabora con l'artista, le direzioni dei musei e delle mostre, i conservatori ed i restauratori, le imprese che si occupano dei trasferimenti e degli allestimenti. Il Registrar trova collocazione, come dipendente o collaboratore, all'interno di molteplici realtà pubbliche e private, stabili e temporanee (musei, reti e sistemi museali, spazi espositivi, atelier d'artista, gallerie, istituti, istituzioni culturali pubbliche, private, o ancora fondazioni ed enti territoriali).
Paola Lambardi: Ciao Samanta non tutti conoscono il tuo lavoro, quello del registrar, di cosa si tratta e come hai iniziato a fare questo lavoro?
Samanta Montagna: Ho iniziato abbastanza per caso, era un periodo nella mia vita in cui avevo bisogno di un lavoro con una busta paga ufficiale (si può parlare di cose concrete, vero?) e ho trovato lavoro in questa società che si occupava di allestimenti mostre, trasporti di opere d’arte e da lì mi sono fatta un’esperienza sul campo, molto pratica su quello che vuol dire allestire una mostra. Dopo questa esperienza Massimo De Carlo cercava un registrar con già un po’ di esperienza e così ho iniziato a lavorare nelle sue gallerie e dalla fine del 2022 lavoro alla Fondazione Prada.
PL: Esattamente cosa vuol dire essere registrar?
SM: Il registrar si occupa fondamentalmente della movimentazione delle opere all’interno e all’esterno della galleria o dei musei. Per una galleria commerciale significa tutti gli spostamenti delle opere verso le fiere o i musei, ma il lavoro comprende anche altri ambiti: ci sono tutti gli aspetti tecnici degli allestimenti delle opere, la gestione dell’archivio, cioè l’inserimento e l’aggiornamento del data base con fotografie e tutta la catalogazione che riguarda la conservazione, il controllo dello stato delle opere e gli eventuali restauri da fare.
PL: Questa movimentazione prevede delle assicurazioni, devi saper gestire anche questa parte?
SM: Certo, c’è una parte amministrativa abbastanza importante: ci sono le assicurazioni delle opere, il rapporto con le belle arti e le pratiche doganali. In una galleria come Massimo De Carlo dove ci sono molti artisti americani e tante fiere al di fuori dell’Europa, tutta questa parte di gestione amministrativa è molto importante, richiede molto tempo e deve essere fatta perfettamente.
PL: Qual è stato il tuo percorso di studi per arrivare a fare questo lavoro?
SM: Mi sono laureata in storia dell’arte alla Statale con il Prof. Negri quando c’era ancora il vecchio ordinamento e il corso di laurea era di quattro anni. All’epoca non c’erano ancora le lauree istituite dopo, come quella in conservazione dei beni culturali, per esempio e se eri interessato all’arte dovevi fare storia dell’arte. Dopo la laurea ho avuto la fortuna di fare due anni a Parigi, studiando alla Sorbona e facendo un lungo stage al Louvre di quasi due anni nella parte curatoriale. Dopo questa esperienza sono dovuta tornare in Italia per i vari casi della vita e il mio percorso qui in Italia è andato più nella direzione pratica e operativa delle mostre.
PL: Quindi adesso esiste un corso specifico per diventare registrar?
SM: Adesso credo ci siano università private che hanno iniziato ad avere dei corsi specifici di registrar (IED Como per esempio). La figura di registrar negli Stati Uniti e in Inghilterra è invece una figura professionale ben definita. Ci sono delle associazioni che rappresentano, mentre in Italia non è molto ben chiaro ancora cosa sia questa professione e non c’è un corrispettivo italiano della parola registrar. So che esiste un’associazione di cui onestamente non faccio parte perché non ho ancora capito quanto possa essere utile …
PL: Secondo te qual è l’abilità maggiore che devi sviluppare in questo tipo di lavoro? Che skills devi avere?
SM: Oltre ad avere una grande pazienza come chiunque lavori nel mondo dell’arte, occorre vedere le cose nel complesso, perché una mostra parte dalla copertura assicurativa, alla cassa che contiene l’opera — che va fatta bene — oppure ricordarsi di verificare se un’opera è completamente asciutta oppure no, perché magari è stata appena ritirata dallo studio di un artista. Bisogna cercare di avere una capacità di visione completa.
PL: Cosa vuol dire “aver fatto bene la cassa”?
SM: Per esempio ogni opera deve essere imballata nel modo corretto. Delle volte occorre essere un gran mediatore, perché spesso gli artisti hanno delle richieste, magari non sempre percorribili. Poi bisogna essere sempre pronti alla velocità, soprattutto per chi deve lavorare nelle fiere, perché per esempio alla fiera di Basilea nel giro di una notte si cambia tutto lo stand e spesso sono stand di grandi metrature, e naturalmente ci sono più o meno, forse sempre, degli inconvenienti, quindi bisogna sempre avere sempre pronto il piano B se non il C...
PL: Quindi nell’arco della notte si cambia per il giorno dopo, per tutti i giorni della fiera?
SM: Si, nelle giornate più importanti ci sono delle fasce orario che vanno dalla chiusura della fiera — dalle ore 20:00 o dalle 22:00 a seconda dei giorni — e si hanno due, tre, o quattro ore a disposizione per cambiare lo stand.
PL: In questa movimentazione quante persone sono coinvolte?
SM: In fiere come Art Basel tante. È interessante vedere come una fiera di quel tipo ha due facce: quella di giorno e quella di notte. Sono veramente un esercito di perone al lavoro e trovi i conservatori, i restauratori che lavorano di notte, disponibili per qualsiasi necessità, oltre a una marea di gente, di tecnici sul posto e questo accade per tutte le grosse fiere del circuito Art Basel che sia Hong Kong o Miami.
PL: Qual è l’opera più difficile che ti è mai capitato di dover movimentare o allestire? C’è un aneddoto che ti ricordi su un’opera in particolare?
SM: Ce ne sono tanti ma un’opera nello specifico è in realtà legata a una mostra, sempre per Massimo De Carlo nel vecchio spazio di via Ventura. Era la mostra di Andrea Ursuta che aveva portato una serie di 100 disegni — bellissimi tra l’altro — che desiderava in un camion, un vecchio truck… Peccato che un camion non entrava dalla porta e quindi abbiamo dovuto trovare un modo per rendere questa sensazione, questa idea dell’artista. Con dei pezzi di metallo ondulato abbiamo montato e ricostruito delle stanze all’interno della galleria, in modo che potessero dare l’idea di un camion, dove all’interno c’era un’illuminazione molto particolare che si accendeva in base a come si muovevano le persone all’interno di questi spazi. Oltre a queste difficoltà tecniche per rendere lo spazio vicino al concetto dell’artista, dovevamo installare cento disegni, e queste opere erano per metà prestiti, quasi tutti arrivati dagli Stati Uniti, l’altra metà era una la produzione nuova per la mostra. Quindi è stato un lavoro e una mostra molto grande con l’artista che è sempre stata lì a sipervisionare e a lavorare con noi. Devo dire Andrea Ursuta è davvero bravissima e super professionale, però questo è stato un allestimento abbastanza intenso.
PL: Invece ti è mai capitato di perdere un’opera per strada?
SM: No, per fortuna! Però succede, per esempio, che un trasportatore negli Stati Uniti consegni un’opera piuttosto che un’altra, ma devo dire che in questo ultimo anno di Pandemia è stato un po’ più difficile tenere tutto sotto controllo. In generale va detto che perdere delle opere è molto difficile, soprattutto perché viaggiano attraverso canali assicurativi e di trasporto, sia camionistico che aereo, che non sono quelli delle merci normali. C’è la possibilità di monitorare tutto il viaggio dell’opera, quasi fino all’imbarco nel cargo aereo…
PL: Quindi non c’è praticamente nessun rischio, giusto?
SM: Si, perché le assicurazioni stesse se non segui certi canali, non assicurano l’opera. Non puoi portartela in macchina e se lo fai è a tuo rischio e pericolo…
PL: Per fare il tuo lavoro ci sono più possibilità in Italia o all’estero? Visto che l’Italia è un po’ indietro nel formare e nel riconoscere la professione di registrar, potrebbe essere un luogo più interessante?
SM: La cosa assurda in Italia — un paese unico e con un patrimonio artistico immenso — è che se vuoi lavorare nel mondo dell’arte, la maggior parte delle persone deve indirizzarsi al settore privato. Il settore pubblico dei musei non è agile come lo sono per esempio in Inghilterra o negli Stati Uniti. Se i musei italiani dessero la possibilità di assumere (e di licenziare), di tenere stage, di fare corsi in maniera più agile, ci sarebbero grandissime opportunità per chi ha già un’esperienza e per chi è all’inizio e vuole imparare, ma soprattutto, aiuterebbe a sfruttare tutte le potenzialità che ha un museo ha.
PL: Perché il museo non è una cosa statica…
SM: Eh no! Prima o poi bisogna rendersi conto della possibilità e delle opportunità che ha un museo. Solo che hanno le mani legate su tutto. I musei italiani, a mio avviso, sono molto penalizzati.
PL: Che cosa dovrebbe cambiare all’interno dei musei italiani?
SM: Onestamente non conosco nello specifico la gestione e tutte le leggi che riguardano i musei in Italia, però vedo per esempio nell’arte contemporanea, spesso e volentieri, le fondazioni private si sostituiscono ai musei perché sono più libere. Possono avere degli sponsor, possono gestire dei budget, hanno brand o grandi nomi che le aiutano, anche la stessa galleria Massimo De Carlo fa mostre con tanti prestiti, sono mostre che magari commercialmente non danno tantissimo ma seguono un percorso curatoriale della galleria che vuole dare un’offerta culturale, non solo commerciale. È ovvio che se i musei fossero un pochino più liberi di gestire fondi, di ottenerli, di avere più personale, di aprire bar o negozi e valorizzare tutto quello che poi rappresenta l’immagine del museo attraverso il marchio, l’identità, ecc. credo aiuterebbe a presentare al meglio il nostro patrimonio artistico.
PL: Quali sono secondo te i musei che esprimono meglio questa capacità?
SM: Tutti i grandi musei inglesi e americani anche se recentemente la gestione di certi musei tipo Brera o gli Uffizi, dimostrano di aver dato una marcia in più, c’è un bel rinnovamento in questi musei.
PL: Ultima domanda: cosa consiglieresti a un giovane che vuole diventare registrar?
SM: Studiare, studiare, studiare tanto la storia dell’arte. Nonostante lavoro nell’arte contemporanea, ho ancora gli incubi degli esami di arte moderna o archeologia che sono la base fondamentale per conoscere questo mondo. Personalmente ho fatto un breve corso di restauro che mi ha aiutato anche a conoscere i materiali, però ripeto non c’era ancora il corso di laurea in beni culturali che adesso prevede una formazione completa anche su questi aspetto. Ultima cosa: andare un po’ in giro per il mondo perché probabilmente è più facile, ci sono più opportunità, ritengo molto interessante lavorare negli studi degli artisti, dove producono le opere, così è più facile imparare e conoscere il loro lavoro, perchè la parte amministrativa si può imparare, mentre questa parte, se si vede e si vive in prima persona, fa la differenza. E poi ça va sans dire… le lingue straniere, più se ne conoscono, meglio è: inglese, francese, cinese tanto meglio. Il mondo dell’arte è una realtà che richiede di sapere le lingue anche banalmente solo per parlare con i propri artisti.
PL: Grazie Samanta per la tua disponibilità a parlare del tuo lavoro come registrar!
Il 28 Ottobre 2021 ho intervistato Samanta Montagna, registrar alla galleria Massimo De Carlo. Dal novembre 2022 ricopre lo stesso ruolo alla Fondazione Prada di Milano.
La figura del registrar si occupa della gestione delle opere e delle installazioni di arte contemporanea e di design nell'ambito museale ed espositivo. In particolare coordina tutte le fasi e le procedure tecniche e organizzative relative ai prestiti e agli eventi. Controlla inoltre gli aspetti di conservazione e sicurezza delle opere in base alla approfondita conoscenza delle loro caratteristiche materiche e strutturali. Collabora con l'artista, le direzioni dei musei e delle mostre, i conservatori ed i restauratori, le imprese che si occupano dei trasferimenti e degli allestimenti. Il Registrar trova collocazione, come dipendente o collaboratore, all'interno di molteplici realtà pubbliche e private, stabili e temporanee (musei, reti e sistemi museali, spazi espositivi, atelier d'artista, gallerie, istituti, istituzioni culturali pubbliche, private, o ancora fondazioni ed enti territoriali).
Paola Lambardi: Ciao Samanta non tutti conoscono il tuo lavoro, quello del registrar, di cosa si tratta e come hai iniziato a fare questo lavoro?
Samanta Montagna: Ho iniziato abbastanza per caso, era un periodo nella mia vita in cui avevo bisogno di un lavoro con una busta paga ufficiale (si può parlare di cose concrete, vero?) e ho trovato lavoro in questa società che si occupava di allestimenti mostre, trasporti di opere d’arte e da lì mi sono fatta un’esperienza sul campo, molto pratica su quello che vuol dire allestire una mostra. Dopo questa esperienza Massimo De Carlo cercava un registrar con già un po’ di esperienza e così ho iniziato a lavorare nelle sue gallerie e dalla fine del 2022 lavoro alla Fondazione Prada.
PL: Esattamente cosa vuol dire essere registrar?
SM: Il registrar si occupa fondamentalmente della movimentazione delle opere all’interno e all’esterno della galleria o dei musei. Per una galleria commerciale significa tutti gli spostamenti delle opere verso le fiere o i musei, ma il lavoro comprende anche altri ambiti: ci sono tutti gli aspetti tecnici degli allestimenti delle opere, la gestione dell’archivio, cioè l’inserimento e l’aggiornamento del data base con fotografie e tutta la catalogazione che riguarda la conservazione, il controllo dello stato delle opere e gli eventuali restauri da fare.
PL: Questa movimentazione prevede delle assicurazioni, devi saper gestire anche questa parte?
SM: Certo, c’è una parte amministrativa abbastanza importante: ci sono le assicurazioni delle opere, il rapporto con le belle arti e le pratiche doganali. In una galleria come Massimo De Carlo dove ci sono molti artisti americani e tante fiere al di fuori dell’Europa, tutta questa parte di gestione amministrativa è molto importante, richiede molto tempo e deve essere fatta perfettamente.
PL: Qual è stato il tuo percorso di studi per arrivare a fare questo lavoro?
SM: Mi sono laureata in storia dell’arte alla Statale con il Prof. Negri quando c’era ancora il vecchio ordinamento e il corso di laurea era di quattro anni. All’epoca non c’erano ancora le lauree istituite dopo, come quella in conservazione dei beni culturali, per esempio e se eri interessato all’arte dovevi fare storia dell’arte. Dopo la laurea ho avuto la fortuna di fare due anni a Parigi, studiando alla Sorbona e facendo un lungo stage al Louvre di quasi due anni nella parte curatoriale. Dopo questa esperienza sono dovuta tornare in Italia per i vari casi della vita e il mio percorso qui in Italia è andato più nella direzione pratica e operativa delle mostre.
PL: Quindi adesso esiste un corso specifico per diventare registrar?
SM: Adesso credo ci siano università private che hanno iniziato ad avere dei corsi specifici di registrar (IED Como per esempio). La figura di registrar negli Stati Uniti e in Inghilterra è invece una figura professionale ben definita. Ci sono delle associazioni che rappresentano, mentre in Italia non è molto ben chiaro ancora cosa sia questa professione e non c’è un corrispettivo italiano della parola registrar. So che esiste un’associazione di cui onestamente non faccio parte perché non ho ancora capito quanto possa essere utile …
PL: Secondo te qual è l’abilità maggiore che devi sviluppare in questo tipo di lavoro? Che skills devi avere?
SM: Oltre ad avere una grande pazienza come chiunque lavori nel mondo dell’arte, occorre vedere le cose nel complesso, perché una mostra parte dalla copertura assicurativa, alla cassa che contiene l’opera — che va fatta bene — oppure ricordarsi di verificare se un’opera è completamente asciutta oppure no, perché magari è stata appena ritirata dallo studio di un artista. Bisogna cercare di avere una capacità di visione completa.
PL: Cosa vuol dire “aver fatto bene la cassa”?
SM: Per esempio ogni opera deve essere imballata nel modo corretto. Delle volte occorre essere un gran mediatore, perché spesso gli artisti hanno delle richieste, magari non sempre percorribili. Poi bisogna essere sempre pronti alla velocità, soprattutto per chi deve lavorare nelle fiere, perché per esempio alla fiera di Basilea nel giro di una notte si cambia tutto lo stand e spesso sono stand di grandi metrature, e naturalmente ci sono più o meno, forse sempre, degli inconvenienti, quindi bisogna sempre avere sempre pronto il piano B se non il C...
PL: Quindi nell’arco della notte si cambia per il giorno dopo, per tutti i giorni della fiera?
SM: Si, nelle giornate più importanti ci sono delle fasce orario che vanno dalla chiusura della fiera — dalle ore 20:00 o dalle 22:00 a seconda dei giorni — e si hanno due, tre, o quattro ore a disposizione per cambiare lo stand.
PL: In questa movimentazione quante persone sono coinvolte?
SM: In fiere come Art Basel tante. È interessante vedere come una fiera di quel tipo ha due facce: quella di giorno e quella di notte. Sono veramente un esercito di perone al lavoro e trovi i conservatori, i restauratori che lavorano di notte, disponibili per qualsiasi necessità, oltre a una marea di gente, di tecnici sul posto e questo accade per tutte le grosse fiere del circuito Art Basel che sia Hong Kong o Miami.
PL: Qual è l’opera più difficile che ti è mai capitato di dover movimentare o allestire? C’è un aneddoto che ti ricordi su un’opera in particolare?
SM: Ce ne sono tanti ma un’opera nello specifico è in realtà legata a una mostra, sempre per Massimo De Carlo nel vecchio spazio di via Ventura. Era la mostra di Andrea Ursuta che aveva portato una serie di 100 disegni — bellissimi tra l’altro — che desiderava in un camion, un vecchio truck… Peccato che un camion non entrava dalla porta e quindi abbiamo dovuto trovare un modo per rendere questa sensazione, questa idea dell’artista. Con dei pezzi di metallo ondulato abbiamo montato e ricostruito delle stanze all’interno della galleria, in modo che potessero dare l’idea di un camion, dove all’interno c’era un’illuminazione molto particolare che si accendeva in base a come si muovevano le persone all’interno di questi spazi. Oltre a queste difficoltà tecniche per rendere lo spazio vicino al concetto dell’artista, dovevamo installare cento disegni, e queste opere erano per metà prestiti, quasi tutti arrivati dagli Stati Uniti, l’altra metà era una la produzione nuova per la mostra. Quindi è stato un lavoro e una mostra molto grande con l’artista che è sempre stata lì a sipervisionare e a lavorare con noi. Devo dire Andrea Ursuta è davvero bravissima e super professionale, però questo è stato un allestimento abbastanza intenso.
PL: Invece ti è mai capitato di perdere un’opera per strada?
SM: No, per fortuna! Però succede, per esempio, che un trasportatore negli Stati Uniti consegni un’opera piuttosto che un’altra, ma devo dire che in questo ultimo anno di Pandemia è stato un po’ più difficile tenere tutto sotto controllo. In generale va detto che perdere delle opere è molto difficile, soprattutto perché viaggiano attraverso canali assicurativi e di trasporto, sia camionistico che aereo, che non sono quelli delle merci normali. C’è la possibilità di monitorare tutto il viaggio dell’opera, quasi fino all’imbarco nel cargo aereo…
PL: Quindi non c’è praticamente nessun rischio, giusto?
SM: Si, perché le assicurazioni stesse se non segui certi canali, non assicurano l’opera. Non puoi portartela in macchina e se lo fai è a tuo rischio e pericolo…
PL: Per fare il tuo lavoro ci sono più possibilità in Italia o all’estero? Visto che l’Italia è un po’ indietro nel formare e nel riconoscere la professione di registrar, potrebbe essere un luogo più interessante?
SM: La cosa assurda in Italia — un paese unico e con un patrimonio artistico immenso — è che se vuoi lavorare nel mondo dell’arte, la maggior parte delle persone deve indirizzarsi al settore privato. Il settore pubblico dei musei non è agile come lo sono per esempio in Inghilterra o negli Stati Uniti. Se i musei italiani dessero la possibilità di assumere (e di licenziare), di tenere stage, di fare corsi in maniera più agile, ci sarebbero grandissime opportunità per chi ha già un’esperienza e per chi è all’inizio e vuole imparare, ma soprattutto, aiuterebbe a sfruttare tutte le potenzialità che ha un museo ha.
PL: Perché il museo non è una cosa statica…
SM: Eh no! Prima o poi bisogna rendersi conto della possibilità e delle opportunità che ha un museo. Solo che hanno le mani legate su tutto. I musei italiani, a mio avviso, sono molto penalizzati.
PL: Che cosa dovrebbe cambiare all’interno dei musei italiani?
SM: Onestamente non conosco nello specifico la gestione e tutte le leggi che riguardano i musei in Italia, però vedo per esempio nell’arte contemporanea, spesso e volentieri, le fondazioni private si sostituiscono ai musei perché sono più libere. Possono avere degli sponsor, possono gestire dei budget, hanno brand o grandi nomi che le aiutano, anche la stessa galleria Massimo De Carlo fa mostre con tanti prestiti, sono mostre che magari commercialmente non danno tantissimo ma seguono un percorso curatoriale della galleria che vuole dare un’offerta culturale, non solo commerciale. È ovvio che se i musei fossero un pochino più liberi di gestire fondi, di ottenerli, di avere più personale, di aprire bar o negozi e valorizzare tutto quello che poi rappresenta l’immagine del museo attraverso il marchio, l’identità, ecc. credo aiuterebbe a presentare al meglio il nostro patrimonio artistico.
PL: Quali sono secondo te i musei che esprimono meglio questa capacità?
SM: Tutti i grandi musei inglesi e americani anche se recentemente la gestione di certi musei tipo Brera o gli Uffizi, dimostrano di aver dato una marcia in più, c’è un bel rinnovamento in questi musei.
PL: Ultima domanda: cosa consiglieresti a un giovane che vuole diventare registrar?
SM: Studiare, studiare, studiare tanto la storia dell’arte. Nonostante lavoro nell’arte contemporanea, ho ancora gli incubi degli esami di arte moderna o archeologia che sono la base fondamentale per conoscere questo mondo. Personalmente ho fatto un breve corso di restauro che mi ha aiutato anche a conoscere i materiali, però ripeto non c’era ancora il corso di laurea in beni culturali che adesso prevede una formazione completa anche su questi aspetto. Ultima cosa: andare un po’ in giro per il mondo perché probabilmente è più facile, ci sono più opportunità, ritengo molto interessante lavorare negli studi degli artisti, dove producono le opere, così è più facile imparare e conoscere il loro lavoro, perchè la parte amministrativa si può imparare, mentre questa parte, se si vede e si vive in prima persona, fa la differenza. E poi ça va sans dire… le lingue straniere, più se ne conoscono, meglio è: inglese, francese, cinese tanto meglio. Il mondo dell’arte è una realtà che richiede di sapere le lingue anche banalmente solo per parlare con i propri artisti.
PL: Grazie Samanta per la tua disponibilità a parlare del tuo lavoro come registrar!